Solitamente lo shopping per noi donne è uno dei momenti che preferiamo, una vera fonte di allegria e buonumore. Eppure, c’è un acquisto che ci provoca esattamente l’effetto contrario, stress e in alcuni casi addirittura depressione. L’acquisto di cui stiamo parlando è quello del costume, la cui prova genererebbe una vera e propria sindrome, definita bikini blues. Ebbene sì, se fino a ieri avevate sentito parlare soltanto di baby blues, ora iniziate a prendere dimistichezza con questa nuova definizione, perché potrete sentirne parlare spesso.
A chi non è mai capitato, in prossimità delle vacanze estive, di farsi prendere da un po’ di ansia per la prova costume? Magari però, passeggiando e dando uno sguardo alle vetrine, vediamo un bikini che ci conquista. Così ecco che entriamo nel negozio e chiediamo di misurarlo, ma una volta nel camerino ci accorgiamo che l’effetto che fa su di noi non è proprio lo stesso che faceva sul manichino. Ci guardiamo allo specchio e proprio non ci piacciamo, diventiamo impietose e ci facciamo una radiografia di tutti i nostri difetti: rotolini, pancetta, cellulite, non ci risparmiamo nulla. Ma a quanto pare questo episodio capita a molte e c’è chi addirittura ne ha fatto la base di uno studio scientifico.
E’ la dottoressa Marika Tigemann, che ha studiato proprio questo momento della prova bikini, spiegando perché è vissuto in modo così traumatico. Secondo questo studio, condotto su un campione di piu’ di cento giovani ragazze, durante la prova bikini nel cervello di noi donne scatta un meccanismo psicologico particolare, che porta a sdoppiarci, a separare la nostra mente dal nostro corpo. Questo processo prende il nome di auto-oggettivazione. Lo studio della Tigemann ha dimostrato quanta influenza può avere l’auto-oggettivazione su noi donne.
L’esperimento ha messo in luce quanto siamo ipercritiche: alle donne che hanno partecipato si chiedeva di immaginarsi prima mentre provavano un bikini nel camerino di un negozio e poi in spiaggia mentre lo indossavano. Poi dovevano ancora immaginarsi di nuovo in un camerino e poi in spiaggia, ma stavolta completamente vestite. Il risultato? Le partecipanti si sentivano a loro agio negli ultimi due casi, completamente a disagio nei primi due, dove scattava l’auto-oggettivazione. Questa condizione non deve essere sottovalutata, perché può portare a disturbi alimentari e depressione. L’unico rimedio è di non concentrarci troppo sul nostro corpo: noi donne diventiamo le giudici più severe di noi stesse, ma dobbiamo impare ad amarci di più.
Fonte immagine: swimmershop.it